Recensione n°39: "Paradosso dell'interprete" di Alfred Brendel

 

Recensione n°39 - Sezione #libri

 

Titolo: "Paradosso dell'interprete - Pensieri e riflessioni sulla musica" di Alfred Brendel

#Brendel #interprete #musica


Editore: Passigli Editori (1997)


La mia valutazione: 5 su 5

 

Lettore di riferimento: musicofili/musicisti, in particolare pianisti


4^ di copertina: Da molti anni a questa parte Alfred Brendel è uno dei pianisti più apprezzati dai musicisti ed amati dagli ascoltatori di tutto il mondo. Ma per i lettori della "New York Review of Books" ed altri periodici di alto livello culturale, Brendel è altrettanto noto come acuto e perspicace articolista, autore di saggi su un'ampia gamma di argomenti musicali. Alcuni di questi saggi sono stati raccolti in libri già da tempo conosciuti nei paesi di lingua tedesca e inglese, e adesso, per la prima volta, un libro di Brendel viene pubblicato in italiano. (...) E' un libro che offre qualcosa ad ogni lettore che abbia voglia di sottoporre le proprie opinioni musicali ad un esame di coscienza.

 

La mia recensione

Due settimane fa ho proposto la recensione del libro "No, non sono un eccentrico" di Glenn Gould. Anche quello un libro di un pianista famosissimo, ma nulla hanno in comune i due testi.

Tanto l'uno, quello di Gould, è centrato su se stesso (sulle sue idiosincrasie da esecuzione pubblica, sulle sue stranezze, sulla sua sedia pieghevole che si porta dietro ad ogni concerto, sulle sue passioni, suelle sue idee ...) quanto l'altro, quello di Brendel, è centrato sulla musica, lasciando sullo sfondo la persona e portando in primo piano la musica e i compositori di cui parla.

Alfred Brendel, diciamolo per i più giovani, è stato uno dei più importanti pianisti del secondo '900. Ha inciso decine di dischi di successo e suonato in tutto il mondo, in tutte le principali sale da concerto e teatri, fino al concerto d'addio, nel 2008, all'età di 77 anni.

In questo libro, "Paradosso dell'interprete", Brendel mette in mostra, senza snobismi e in modo charo, la sua enorme cultura (generale e musicale) facendo entrare il lettore "dentro" i problemi interpretativi e trattando alcuni argomenti del "dietro le quinte" (come l'acustica delle sale e le problematiche legate al pianoforte) che raramente vengono posti all'attenzione del musicofilo, ascoltatore o musicista che sia.

Uno degli aspetti che colpisce leggendo il libro è la meticolosità del metodo analitico di Brendel, che si prepara studiando gli autografi delle composizioni (quando disponibili) e li confronta con le varie edizioni urtext presenti sul mercato, spesso trovando errori che commenta appropriatamente.

"Lo studio delle opere di un compositore mi sembra un'attività più proficua che recarsi in pellegrinaggio alla sua tomba (...) o sfogliare grandi quantità di studi specialistici su di lui" dichiara nel libro in modo netto.

"Cosa resta da fare all'interprete?" si domanda. "Due cose, a mio avviso. Deve cercare di cogliere le intenzioni del compositore e dare ad ogni opera il massimo effetto. Spesso, ma non sempre, un aspetto dipende dall'altro".

La sua visione, pur rispettosa dell'opera e del compositore, non è però meccanica e rigida. Tutto deve essere adattato alle condizioni che permettano di mettere in risalto ogni nuance, ogni aspetto melodico-armonico, ogni espressività che renda l'opera musicale un'esperienza forte per l'ascoltatore. "Rassegamoci" sostiene "sentir suonare Beethoven sugli strumenti di oggi significa ascoltare una sorta di trascrizione".

Nel 1° capitolo (Beethoven) Brendel affronta argomenti come la registrazione integrale delle opere per pianoforte, la fedeltà all'opera, la forma e la psicologia delle sonate per pianoforte di Beethoven, il processo di "riduzione" usato dal compositore, per concludere con il nuovo stile beethoveniano.

La sua profondità di analisi e studio si rivela in molti passaggi del libro, come per esempio nel paragrafo dedicato alle indicazioni d'espressione usate da Beethoven negli spartiti: i segni d'accentazione (sforzando, fortepiano, rinforzando); pianissimo e dolce; espressivo; pedale; ritardando. Per ognuno di questi aspetti Brendel spiega e giustifica la corretta interpretazione.

A volte, con poche e semplici parole, Brendel riesce a fornire, anche all'ascoltatore meno preparato, una chiave di lettura che lo aiuti a interpretare meglio ciò che ascolta, come in questo caso, parlando le caratteristiche di Beethoven e Schubert come compositori di sonate per pianoforte:" Nella musica di Beethoven non si perde il filo, si sa sempre in quale punto ci si trova. Schubert, invece, ci trasporta nel mezzo di un sogno. Beethoven componeva come un architetto, Schubert come un sonnambulo". Ovviamento poi spiega le motivazioni di queste frasi, che non sono a detrimento di Schubert, come qualcuno potrebbe erroneamente interpretare.

Nel 2° capitolo (Schubert) parla delle sonate per pianoforte composte tra il 1822 e il 1828, confutando certi pregiudizi su Schubert e sulle qualità delle sue composizioni che all'epoca (ora, fortunatamente, non più) erano ancora forti. Uno su tutti, che le musiche pianistiche di Schubert fossero "non-pianistiche".

Il 3° capitolo (Liszt) è dedicato ad allontanare la percezione del compositore dall'immagine del virtuoso e del compositore puramente dedito alle spericolate acrobazie tecniche (sorte che l'ungherese condivide con Paganini, sebbene a livello compositivo il paragone sia impari a suo vantaggio).Sono interessanti le argomentazioni di Brendel su Liszt creatore di un nuovo mondo sonoro pianistico, sul pianoforte "orchestrale" che deve emergere dalle esecuzioni, sulle trascrizioni e parafrasi e, infine, sul quesito "Liszt va preso alla lettera?". Dipemde ... verrebbe da riassumere, ma lascio al lettore scoprire perchè.

Nel 4° capitolo (Busoni) e nel 5° (Edwin Fischer) Brendel rende omaggio a due delle figure che furono fondamentali per lui come punto di riferimento culturale (Busoni) e tecnico (Fischer, il suo maestro).

Nel 6° capitolo (Lottando con il pianoforte) il libro porta il lettore in un mondo che spesso è ignoto agli ascoltatori: quello delle problematiche relative all'acustica delle sale da concerto (che varia da sala a sala ... e anche tra la stessa sala vuota durante le prove e piena, con il pubblico), delle caratteristiche dei pianoforti (diverse da uno strumento all'altro, ma anche sullo stesso strumento in condizioni diverse di umidità e temperatura), dell'importanza della preparazione e accordatura del pianoforte da concerto (e qui il pensiero va a Arturo Benedetti Michelangeli, che si portava il "suo" pianoforte e il "suo" accordatore in tournée).

Conclude il libro una breve intervista di Jeremy Siepmann nella quale Brendel, sempre tenendosi in secondo piano rispetto alla musica ed ai compositori, riafferma alcuni dei concetti chiave espressi nel libro.

Un testo che, pur essendo datato, consiglio a tutti i musicofili e a tutti i musicisti, pianisti in particolare, ovviamente.

 

Copyright Diego Minoia

 

Nel contributo un brano meno famoso del catalogo di Franz Schubert: Hungarian melody D817 eseguita da Alfred Brendel


 

Qui, invece, una "chicca": l'esecuzione di Brendel della trascrizione pianistica della Danza russa di Pétrouchka


Visita il mio sito www.diegominoia.it

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