Recensione n°43: "L'opera italiana del '700" di Piero Weiss


 

Recensione n° 043  - Sezione #libri

 

Titolo: "L’opera italiana nel ‘700” di Piero Weiss

#melodramma


Editore: Astrolabio (2013)

La mia valutazione: 4 su 5

Lettore di riferimento: per tutti


4^ di copertina: Il tema di questo studio non è nuovo, ma la trattazione che ne fa l’autore dà vita a un panorama di grande respiro e di inusitata originalità. Questo grazie a un’approfondita indagine sulle fonti (libretti e partiture) a stampa e manoscritte, e alla grande dimestichezza di Weiss con la letteratura coeva, sia musicale, sia memorialistica. A ciò si aggiunge una sua particolare capacità, rapida e incisiva, di cogliere con sicurezza i nessi evolutivi che collegano il materiale, e di illustrarli nell’analisi di singole opere esemplari, emblematiche degli sviluppi storici in questione. (…)


La mia recensione

Questo libro sull’opera italiana del ‘700, scritto da Weiss tra il 1988 e la metà degli anni ’90 e pubblicato da Astrolabio nella Collana di studi musicali “Adagio”, in realtà nasce come capitolo della Storia dell’opera italiana, progettata da Giorgio Pestelli e da Lorenzo Bianconi. Il progetto, però, vide solo la pubblicazione da parte di EDT dei Volumi IV, V, VI e, in seguito, di altri materiali ma al di fuori del progetto unitario originale. A distanza di anni il desiderio della famiglia dell’autore, pianista e musicologo italo-americano deceduto nel 2011, e l’assenso di EDT, hanno permesso ad Astrolabio di realizzare la pubblicazione di questo saggio, a cura di Raffaele Mellace e con presentazione di Lorenzo Bianconi.

Il libro si apre con una gustosa boutade tratta dalla “Lettera sull’opera in musica” pubblicata intorno al 1670 dal signor di Saint-Evremond: “Se volete sapere che cosa sia un’opera, vi dirò ch’è una bizzarra fatica poetica e musicale, in cui il poeta e il musicista, ciascuno ugualmente impacciato dall’altro, si danno una pena infinita per produrre un lavoro meschino”.

Pur considerando che una mole enorme di testi poetici e musiche creati nel ‘600 sono andati persi (e tra questi forse anche alcuni di valore), al di là della posizione tra il polemico e il faceto del critico francese, nel corso di questo libro più volte Weiss non si periterà di ritenere di bassa lega moltissimi libretti, e anche molte musiche. Per chi ama il melodramma non potrà che risultare interessante la puntigliosa ricostruzione di Weiss dell’evoluzione del teatro musicale tra i secoli XVII e XVIII, dal retaggio secentesco al dramma eroico con intermezzi buffi, dai primordi dell’opera buffa a Napoli all’epoca di Metastasio, dall’affermazione dell’opera buffa in Italia e all’estero fino all’opera seria dopo Metastasio (con relativa contestazione da parte di Weiss della cosiddetta Riforma di Gluck-Calzabigi) e, per concludere, fino alla trattazione dell’opera buffa nel secondo ‘700.

Le polemiche non mancarono, tra i poeti dell’Arcadia, contro questa forma di teatro musicale che tentava di scalzare la parola scritta aggiungendovi musica e trovate spettacolari visive che stupivano lo spettatore ma lo allontanavano dall’attenzione dovuta al testo. “Non la si voleva più come concorrenza” scrive Weiss. In seguito però vennero creati testi che, nei migliori casi, avevano il pregio di potersi sostenere anche con la sola lettura o con la declamazione ad alta voce, come spesso accadeva nelle Accademie e nei salotti aristocratici, in particolare con le opere di Pietro Antonio Trapassi, conosciuto come Metastasio, poeta cesareo alla corte austriaca per decenni e autore di decine di libretti d’opera. La sua fama europea portò moltissimi autori a inviargli i propri lavori per averne valutazioni, suggerimenti migliorativi e, in definitiva, un imprimatur dalla voce principale e più temuta nel settore. Le critiche al teatro musicale, come quelle di Ludovico Antonio Muratori nel suo trattato “Della perfetta poesia italiana” non riuscirono però a fermare l’avanzata di questa forma espressiva che, attraverso mutazioni e adattamenti, permeò di sé la vita de quei secoli. Il riferimento al dramma lirico francese fu al contempo fonte di ispirazione letteraria e motivo di rifiuto del linguaggio paludato e ampolloso in esso usato.

La presenza delle “arie” (e dei balletti) nelle opere in musica, chiaro segno, con gli accompagnamenti orchestrali sempre più ricchi e complessi a cui si aggiungevano i virtuosismi canori dei “castrati”, che la musica aveva preso il sopravvento sulla parola, disturbava i conservatori arcadici. La discussione e la lotta tra i modelli elevati e quelli del dramma in musica continuò attraverso i decenni, anche in merito ai contenuti: se il modello delle “vere tragedie” erano i soggetti storici nell’opera si arrivò ben presto a quelli mitologici e in seguito, con gli intermezzi prima e l’opera buffa poi, a quelli di impronta borghese.

I numerosissimi esempi testuali che Piero Weiss fornisce, grazie ad un immenso lavoro di studio, ricerca e analisi durato anni, permettono al lettore di comprendere quali erano le caratteristiche dei libretti, con i loro luoghi comuni e le trovate ripetitive, non dissimili dai tormentoni che i comici attuali utilizzano per accalappiare il pubblico meno smaliziato. Anche i numerosi esempi musicali (più frequenti nella parte finale del libro in quanto gli spartiti di molte opere secentesche non sono più disponibili o, addirittura, non vennero neppure stampati) permettono di apprezzare le caratteristiche compositive che fecero dei migliori musicisti delle “star” della loro epoca, grazie alla ricchezza inventiva ed alla freschezza delle idee melodico-ritmiche che seppero associare al testo per rendere al meglio gli “affetti” e coinvolgere il pubblico.

Grazie a questo libro il lettore imparerà a conoscere, o ad approfondire, autori come Apostolo Zeno, Metastasio, Goldoni, Bertani, Da Ponte, insieme a musicisti come Gazzaniga, Fischetti, Galuppi, Pergolesi e molti altri, facendosi portare per mano in mondo che non c’è più, ma che si è sedimentato e ora fa parte del solido substrato culturale di ogni persona di cultura.

 

Copyright Diego Minoia

 

Nel contributo una sintetica spiegazione sulla Scuola napoletana, ampiamente citata nel libro recensito oggi esnodo fondamentale per la nascita dell'opera buffa. 


 

 Qui, invece, una scena tratta dal bel film su Farinelli, in cui viene presentata l'aria "Son qual nave ch'agitata" dall'opera Artaserse di Johann Adolf Hasse, su testo di Metastasio

 



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