Recensione n°46: "La decima musa" di Patrick J. Smith

 


 

Recensione n°046 - Sezione #libri

Titolo: “La decima musa” di Patrick J. Smith

#librettidopera

 

Editore: Sansoni (1981)

 

La mia valutazione: 4 su 5

 

Lettore di riferimento: musicofilo

 

4^ di copertina: Rifacendosi dagli inizi del melodramma nei primi anni del Seicento, Patrick Smith traccia la storio del libretto d’opera da quei primi esempi di grandissima dignità letteraria fino al nostro secolo, e in una così ricca messe di fatti da analizzare e inquadrare storicamente mette a prova un’erudizione vivace e profonda, uscendone un libro di sicura informazione, di ampio spettro critico, e soprattutto un libro tutto da leggere , non sai se con maggior diletto o profitto.Il primo studio, in realtà. Sull’opera lirica dal punto di vista del rapporto tra parola e musica: in cui le persone prime sono Lorenzo da Ponte, Eugène Scribe, Emile Zola, Arrigo Boito, W.S. Gilbert, Wagner, che scriveva egli stesso i suoi libretti, Illica, Giacosa, Hugo, Von Hofmannsthal, Gertrude Stein, Bertolt Brecht. (…) Libro dunque di importanza fondamentale per i cultori dell’opera lirica, o più largamente per i cultori della musica e della letteratura: della poesia infine, in uno dei suoi aspetti non forse a sufficienza illuminati dalla storiografia anche più avvisata.

 

La mia recensione

Il librettista, chi è costui? Questa e la domanda che molti, benché musicisti e musicofili, potrebbero porsi ripensando al fatto che, anche per i più avveduti, il titolo di un melodramma è indissolubilmente associato al nome del compositore della musica: Orfeo= Monteverdi, Don Giovanni= Mozart, Traviata= Verdi ecc. E’ vero, per alcuni capolavori anche il nome del librettista emerge dalla memoria: Lorenzo da Ponte per la triade mozartiana Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte, Francesco Maria Piave per le verdiane Traviata, Rigoletto, Macbeth, La forza del destino, Ernani (ma quanti se lo ricordano per I deu foscari, Il corsaro, Stiffelio ecc.),Arrigo Boito per Otello e Falstaff di Verdi, nonché per La Gioconda di Ponchielli. E potremmo proseguire con molti altri nomi di librettisti e titoli di melodrammi.

Tutto nasce dal fatto che ho ripreso in mano, e riletto, questo La decima musa, che faceva parte dei libri preparatori per l’esame di Letteratura poetica e drammatica, esame complementare del Corso di Composizione, svolto nei lontani anni ’80 del secolo scorso.

Già nel titolo, La decima musa, Smith rivendica per i negletti librettisti una divinità aggiuntiva rispetto alle tradizionali nove che sovrintendono alle arti (sebbene Euterpe, musa della musica, lo sia anche per la Poesia lirica).

Il libro, come dichiarato in 4^ di copertina, è una carrellata sulla Storia del libretto d’opera dalle origini seicentesche fino alla metà del ‘900 che alterna capitoli sull’evoluzione del libretto (separati per Scuole: il libretto francese, quello italiano, quello tedesco; e per epoche: il Seicento, il Settecento, Ottocento e Novecento, Tardo Novecento) a capitoli sui principali librettisti delle varie epoche (Busenello, Quinault, Metastasio, Wagner, Boito, Hofmannsthal).

Sebbene la suddivisione in capitoli ed epoche comporti un certo numero di ripetizioni di concetti espressi identici nei diversi capitoli, il libro risulta comunque abbastanza scorrevole e di piacevole lettura … a parte il corpo tipografico inferiore allo standar, che rende la lettura più faticosa per chi è diversamente giovane.

Un libro che merita di essere letto dai melomani per comprendere ed approfondire le cangianti relazioni intercorse nei secoli tra parola e musica, ma anche tra librettisti e compositori.

Dalla iniziale maggior importanza della parola, al cui potere la musica doveva monteverdianamente sottomettersi, al ribaltamento dei ruoli, con il compositore al potere e il librettista sottomesso, fino alla wagneriana fusione delle figure del librettista e del compositore (ma non fu il solo, anche Berlioz, Debussy ed altri in seguito sperimentarono l’unione creativa come autori delle musiche e dei testi).

 

Copyright Diego Minoia

 

Un "classico" delle arie barocche: Lascia ch'io pianga, dal Rinaldo di Haendel, nell'interpretazione di Cecilia Bartoli.

 


 Qui, invece, la stessa aria nel bellissimo film su Farinelli, il castrato più famoso. La voce, in questo caso è la combinazione tra due diverse voci sintetizzate.



Visita il mio sito www.diegominoia.it

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